Già la cultura-cultura di per sé non fa notizia, figurarsi in questo momento in cui il carrozzone della politica e dell’informazione ha solo occhi puntati su Berlusconi e la tenuta (o meno) del governo e della sua maggioranza. Distrazioni a parte, è in discussione da giorni al Senato, dopo il passaggio alla Camera, una normativa che se dovesse passare, con l’inganno di favorire la lettura, penalizzerebbe piccoli editori e librai ed agevolerebbe gli interessi dei grandi gruppi editoriali e delle connesse catene di librerie. Insomma, una truffa bell’e buona. Infatti, la cosiddetta legge Levi vorrebbe adottare un tetto di sconti (e saldi) sui libri del 15% per tutti i mesi dell’anno. In apparenza tale sconto è un’esca, perché dovrebbe allettare la gente (i lettore) a comprare più volumi, nella sostanza il libro, non essendo come altra merce soggetta a saldi solo due volte all’anno, diventerebbe, così come avvenuto in Inghilterra e negli Stati Uniti, il più infimo prodotto presente sul mercato. E’ stato detto che una legge come la Levi non ha cuore né il libro né la bibliodiversità, cioè quel sistema di garanzia per cui quando il lettore entra in una libreria o in una biblioteca può trovare un campionario librario largamente variegato e non “scaffali stracolmi senza criterio” delle opere dei soliti noti (che non sempre sono gli autori migliori), di comici o dei vincitori dei taroccati premi strega e campiello. La normativa in questione, insomma, è articolata per appiattire la lettura su standard culturali omologati, cancellare dal mercato l’editoria indipendente ed avvantaggiare una lobby di editori e di librari . Alla legge si stanno opponendo un bel numero di piccole ed indipendenti case editrici, di scrittori, intellettuali, giornalisti i quali, in contraltare, rivendicano una normativa garantista così come è vigente in Francia e Germania. Ma la loro protesta è flebile non trova il necessario sostegno in una Paese in cui, si sa, i suoi cittadini non sono proprio dei frequentatori assidui (ed esigenti) della lettura, la politica se ne sbatte della cultura e sui giornali le pagine di libri, teatro, cinema sono fogli a margine. Di cui se ne farebbe volentieri a meno.