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Sig. Nessuno può negare gli sforzi di Georges Melonis e del suo governo per affrontare la legge di bilancio. Dato il tempo istituzionale che intercorre tra le elezioni e la nascita di un nuovo governo, questa strategia è stata pianificata in tempi molto brevi. Tuttavia, verranno apportati miglioramenti al testo in cui si afferma che il design non è l’immagine della perfezione. Sarebbe davvero auspicabile. La manovra si caratterizza per l’assenza di un tema ricorrente nelle dichiarazioni e nei discorsi del premier: la classe media. Se esiste, è davvero un outsider, non un interlocutore esclusivo di misure volte ad adeguare i redditi bassi o bassi alla logica dell’economia sociale. Tanto che – sebbene sia controintuitivo sentire il segretario della Cgil Maurizio Ladini inveire contro il provvedimento – si capisce la frustrazione ma anche la freddezza del numero uno della Cisl Luigi Sbarra. Solo un neofita delle tecniche di disillusione come Calenda (che è molto diverso dalle tecniche professionali di Renji) fa finta di non accorgersene.
Intanto svuotiamo il tavolo dall’ipocrisia: il ceto medio si definisce semplicemente guardando al costo della vita, quando si ha un reddito netto di duemila euro al mese. E dato il tasso di inflazione, anche queste cifre dovrebbero essere riviste. E se questo numero (arrotondando per eccesso) si riferisce a un nucleo familiare di più di tre persone, ha sicuramente senso parlare di ceto medio. Ebbene, basta guardare alcune disposizioni della legge di bilancio e il cittadino “modello” che dovrebbe rientrare in quella categoria non guadagnerà un solo centesimo da questa manipolazione.
L’aumento del 50% dell’assegno unico vale solo per tre figli, ISEE inferiore a 40.000 euro (immobili, saldo medio di conto corrente, portafoglio titoli calcolato) e vale solo per il primo figlio. Anno di vita della prole. Limitata la rivalutazione delle pensioni superiori a 2100 euro mensili. Viene proposta una detrazione fiscale del 3% per redditi fino a 20.000 euro e viene confermato il già esistente sconto del 2% per redditi inferiori a 35.000 euro. Per altri niente è uguale. L’unica previsione è che l’imposta unica si applichi ai redditi fino a 85.000 euro, ma questo è l’importo totale da cui un lavoratore autonomo deve detrarre i contributi previdenziali. Il rapporto tra netto e lordo può indurre molti a optare per la modalità normale.
La prudenza di questi tempi di crisi economica è comprensibile, ma affermare che questa manovra sia a vantaggio della classe media ci getta fumo negli occhi. In ogni caso, purtroppo, l’inflazione ridurrà ulteriormente il potere d’acquisto. Tuttavia, prima o poi, il fumo si dirada e si ritorna a una realtà manipolata che manca degli elementi essenziali di continuità con il recente passato. E, almeno in questo caso, può risultare che il sapore della politica abbia un forte sapore “tecnico”: non si sa quanto si è felici, più o meno.
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