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La ricomparsa di D’Alema nel discorso di sinistra è un classico caso di ritorno del rimosso in senso freudiano. E il comunismo è inteso come contrazioni, abitudini inconsce, mentalità. Per comprendere la divisione del Partito Democratico tra “riformatori” e suoi sostenitori, dobbiamo essenzialmente mettere da parte la cronologia sfumata della classe del partito con le sue animosità e personalità e pensare in termini di culture politiche. Il Partito Democratico non ha mai deciso se fosse liberale e riformista o ancora associato al comunismo, che sarebbe fallito per gli incidenti della storia. Dopo la caduta del muro di Berlino, Occetto, Veltroni e D’Alema ritenevano che il comunismo fosse effettivamente, o meno apertamente, eliminato come fallimento della filosofia politica. Pretesero di poter diventare riformisti e liberali dall’oggi al domani, ma invece i capisaldi della mentalità comunista erano chiari: “Blerian” come in D’Alema. Come per tutte le cose rimosse, torneranno e uno dei principi fondamentali del comunismo sostenuto dalla sinistra dopo il 1989, incluso il Partito Democratico, è che “la sinistra non ha nemici”. Un partito può essere regolarmente spinto sull’orlo della riforma se la situazione richiede che catturi o mantenga il potere. Ma non deve mai permettere che un altro potere compaia alla sua sinistra, e in ogni caso il partito deve essere il suo alleato assoluto, controllandolo. Questo è successo periodicamente nell’età dell’olivo con la ricostruzione comunista e ora con 5 stelle. Finché le griglie erano ufficiali, di destra o di sinistra, e Renzi era a capo del Pd, non c’era problema. Ma rimuovendo Renzi e diventando un “progressista” a 5 stelle, la macchina mentale mai nemica della sinistra è riemersa in tutta la sua chiarezza. E se le culture politiche hanno una loro logica, forse il “marchio” tornerà solo ad abbracciare Conte: questa volta a rischio di essere schiacciato da lui.

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