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Da qui alle prossime settimane ci saranno candidati in campo per sostituire Enrico Leta. Stefano Bonacini, Paola Di Micheli, Ellie Schlein, Dario Nardella. Forse Abubakar Sumahoro sarebbe diventato un astro nascente se non avesse dovuto affrontare le indagini legali sui membri della moglie e della suocera (lavoratrici non pagate da mesi) per cooperative di migranti. Volti e storie diverse per la stessa impresa: tenere insieme il Partito Democratico. Un obiettivo impossibile in realtà, perché le diverse anime da quella parte sono geneticamente incompatibili. Sempre che la festa non si trasformi nel circo di Barnum, o continui a farlo. Il Partito Democratico non vince un’elezione politica da 16 anni. Durante questo periodo è stato al governo (principalmente) solo attraverso la manipolazione del gruppo dirigente. Tanti trucchi e meno trucchi proprio perché in essa convivono il diavolo e il santo. Il connubio tra i successori del Ds-PCI e lo spirito della democrazia post-cristiana è in realtà incompleto: l’ultimo premier ed ex segretario Matteo Renzi se n’è andato sbattendo la porta, ma appunto per incompatibilità genetica. menzionato, come se fosse stato espulso dall’essere che lo aveva abitato come un corpo estraneo. Questa situazione spesso vincola, paralizza e rallenta le scelte del Pd. Basti ricordare che Letta arrivò a sostenere Mario Draghi a Palazzo Chigi dopo aver difeso con forza il governo di Giuseppe Conte, mentre Bersani accettò un governo con il Cav cinque anni fa dopo aver bocciato Grillo. L’incompatibilità genetica porta a strategie miste e conflittuali. Conclusione: il Pd spesso si rompe da solo. Ed è più o meno quello che sta accadendo adesso. Il suo lato sinistro è rivolto verso la sua griglia e soffre del loro dominio. L’ala riformista pensa a un terzo polo ma non può fare alcun passo. È possibile conciliare queste due prospettive? no. Tanto che nel Pd lombardo c’è chi vede Letizia Moratti candidata alle regionali, ma il partito sceglie Pierfrancesco Majorino. E il nuovo esercizio più popolare, la reinvenzione dell’identità, rischia di diventare una parodia, il partito ha due identità distinte che si sovrappongono e divergono nella macchina mortale della schizofrenia politica. «Vedo due facce», ammette il vicesegretario Provenzano. Come immaginare la riconciliazione con chi è già afflitto da sentimenti riformisti dal fascino di una “critica del capitalismo”, come Orlando, o con Slaine, che riprende la sua crociata contro il “mantra della mediazione liberale”? Come Goffredo Bettini rivalutava e ammetteva la “scintilla” della Rivoluzione d’Ottobre, è meglio dirlo con chiarezza: “Mi sento più a mio agio sulle rive della Neva che nel deserto del Texas, perché la Russia era l’Occidente e Lenin era l’Europa A posteriori l’ipocrisia è ancora l’unico collante che tiene insieme il Pd, che è fatale alla politica perché nega l’identità di entrambi e toglie al partito – come nell’ultimo decennio – la politica. più virtuoso, più sensato.

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