Nel bailamme delle elezioni, delle liste revocate, poi riammesse e ancora revocate c’è una vicenda minore ma a suo modo significativa di una certa crisi della politica italiana e in particolare della sinistra. Una vicenda che non desta scandalo, sia chiaro, e che non va nemmeno accostata – per quanto i suoi protagonisti insistano nel farlo – alla delirante commedia andata in onda nel Lazio. Parliamo del Pcl, diretto da Marco Ferrando, che aveva annunciato con molta determinazione la presentazione del suo partito alle imminenti regionali. In molti, a sinistra, incontrando militanti e dirigenti del Pcl chiedevano loro: «Ma ce la fate con le firme? Guardate che sono tante». La risposta, spesso sbrigativa, era sempre la stessa: «Ce la faremo, sicuramente in cinque o sei regioni forse anche otto». E così a febbraio il Pcl emana il primo comunicato: «Il Partito Comunista dei Lavoratori – già presente alle ultime elezioni politiche ed europee – sta preparando la propria presentazione elettorale indipendente per le imminenti elezioni regionali, in contrapposizione alle coalizioni di centrodestra e di centrosinistra». Un proposito audace, perché le firme da raccogliere – grazie a una legge antidemocratica – sono molte, troppe. Si pensi che nella provincia di Perugia, per fare un esempio, la modifica della legge elettorale imposta dal centrosinistra (Prc compreso) ha portato a 2000 le firme necessarie a presentare una lista, tante quante ne servono a Roma che ha un numero di abitanti dieci volte maggiore. Alle proposte di unire gli sforzi, avanzati da altri – Sinistra Critica ma anche i Comunisti popolari di Marco Rizzo – il Pcl risponde con un secco rifiuto, tranne in Lombardia dove si dice disposto a una lista a doppio simbolo con Sinistra Critica che però ha già deciso di non fare alleanze “variabili” cioè limitate a una regione senza impegno nelle altre (unica eccezione l’Umbria dove però l’accordo salta per un veto posto proprio ne confronti di Sinistra Critica che alla fine non riesce a presentare la lista raccogliendo “solo” 1500 firme).

«Noi continuiamo a pensare che un partito che ha un suo programma deve presentarlo così com’è agli elettori» spiega al Megafonoquotidiano lo stesso Marco Ferrando. Tale determinazione è motivata dai casi precedenti. Il Pcl si è già presentato, infatti, «sia alle politiche che alle europee». Solo che alle politiche la presentazione riuscì grazie all’appoggio in extremis di due parlamentari, il senatore dei Verdi Mauro Bulgarelli e il deputato del Psdi (sì, proprio quello di Cariglia e Nicolazzi) Giorgio Carta. Utilizzando una modifica dell’ultimo minuto ottenuta da Sinistra Critica in Parlamento – che permetteva di presentare liste con l’appoggio esplicito di almeno un deputato e un senatore – e rifiutando anche in quel caso di convergere su un’unica lista – che presumibilmente avrebbe superato l’1% – il Pcl si presentò da solo.
Molto più rocambolesca fu invece la vicenda delle europee. La legge prevedeva in quel caso la possibilità di presentare una lista, senza raccogliere le firme, solo in virtù di una effettiva rappresentanza nel Parlamento uscente. Ma avendo capito da tempo che l’interpretazione della legge, da parte dei Tribunali italiani, è quanto meno arbitraria, e rifiutando ancora una volta un’alleanza a sinistra, il Pcl presentò lo stesso le liste facendole sostenere dal parlamentare europeo Giulietto Chiesa a sua volta candidato in Lettonia. Si trattò di un escamotage piuttosto furbesco, e abile, che consentì alla lista di essere ammessa in tre circoscrizioni su cinque. Cioè, tre Tribunali diedero un’interpretazione estensiva della legge e due invece la utilizzarono alla lettera. Interpretazioni, appunto.

Forti di queste avventure e di una strategia del bluff rivelatasi vincente, i dirigenti del Pcl hanno ritenuto di potersela giocare di nuovo. Anche perché dalla sua nascita il Pcl punta molto sulla scadenza elettorale e sulla conseguente presenza in tv o sulla stampa del proprio portavoce.
E così qualche giorno dopo, in presenza dell’accordo alla regione Lazio tra Prc e Bonino si può leggere questa dichiarazione: «Invitiamo, come Partito Comunista dei Lavoratori, tutto il popolo della sinistra laziale a sostenere alle imminenti regionali le nostre liste. L’unica lista di sinistra, l’unica lista con un programma organicamente anticapitalista e l’unica sinistra non disponibile a mercanteggiare i propri principi per un posto nella” stanza dei bottoni”». Firmato, Eugenio Gemmo «candidato presidente del Partito Comunista dei Lavoratori per le elezioni regionali del Lazio». Alla domanda, rivoltagli direttamente, se saranno in grado di garantirsi le firme la rispostaè secca: «Ce le abbiamo senz’altro, abbiamo cominciato per tempo». E così a Bologna: «Il Pcl è l’unico partito a sinistra che si può vantare di non aver votato Delbono al ballottaggio. Contro il “meno peggio” ci presenteremo sia alle elezioni comunali che regionali di marzo». Firmato, Michele Terra. Quindi, anche in Emilia ci sarà la lista. E poi in Calabria, in Toscana, nelle Marche, in Basilicata, in Liguria e forse in qualche altra regione. Insomma, come promesso, «dove sarà possibile».
Alla scadenza dei termini, il Pcl presenta regolarmente proprie liste in Calabria, in Basilicata, in Liguria, in Toscana, nelle Marche e in Emilia. Ma, ecco la prima anomalia, non le presenta nel Lazio. Interpellato sul perché di una mancata presentazione dopo averla data come certa, il loro dirigente dirà: «Beh, il bluff in politica ogni tanto ci può stare». Nel Lazio, dunque la lista non è stata nemmeno portata in Tribunale mentre nelle altre regioni viene rifiutata perché…non ha le firme. «Puntavamo a presentarci in 3 regioni per accedere al 25% dell’elettorato e quindi agli spazi dettati dalla par condicio. Nel Lazio hanno sbagliato i nostri compagni a non presentare comunque la lista, sia pure con firme insufficienti, perché il ricorso dell’Udeur, anch’esso senza le firme necessarie, è stato accolto» spiega ancora Ferrando confermando la strategia del bluff. «Potevamo farcela ma siamo stati sfortunati», è la sua spiegazione. Le firme, alla fine, sbucheranno solo in Calabria – ma la lista viene respinta da Tribunale e Tar per un’interpretazinoe restrittiva della norma – e in Basilicata, solo nella provincia di Potenza. In Calabria «faremo ricorso al Consiglio di Stato» assicura Ferrando.
Per protestare contro le presunte discriminazioni il Pcl ha anche deciso di partecipare alla manifestazione del centrosinistra del 13 marzo e ha proposto al Partito radicale «una comune iniziativa politica per il rinvio delle elezioni, col coinvolgimento unitario di personalità democratiche della politica, della cultura, del diritto». Ferrando e Pannella uniti nella lotta è un’immagine che è riuscita a spiazzare anche quelli del Pdac che al Pcl non risparmiano critiche e stilettate. Ma la cosa sembra sia morta lì.
Morale della favola: il Pcl chiederà di annullare la scheda o di non partecipare al voto tranne che in Basilicata, provincia di Potenza. Potenza del bluff.