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22.11.2022 – 08.30 – I capaci e meritevoli hanno il diritto di raggiungere un livello di istruzione superiore, anche se è impossibile. L’articolo 34 della Costituzione sancisce il diritto allo studio, quindi “inalienabile”: caratterizzandone il valore. Data la sua neutralità, si può simpatizzare con questo concetto, intendendolo come lo sforzo e l’impegno di un individuo per raggiungere un risultato soddisfacente. Di conseguenza, il connubio tra dignità e competenza trova un solido fondamento nel valore della giustizia e spinge verso mondi più legittimi e società più equilibrate. Valutare il lavoro senza soccombere alla superiorità e al clientelismo, infatti, dà più forza alla parola valore ed evita posizioni ideologiche nei suoi confronti.

Ma, al tempo stesso, la dignità ha una dualità interna: può infatti esprimere anche la logica iniziale basata sull’attività di una persona. Questa porta girevole (dal latino iannua, porta) non lascia spazio ad altre responsabilità, ma all’azione Dà responsabilità e, in caso di fallimento, responsabilità in materia di agire.

“Essere buoni” permette di mantenere un alto livello di soddisfazione per il proprio lavoro in rapporti di potere che legittimano lo status quo, di avere una grande speranza di approvazione futura. La capacità di una persona di aggrapparsi alla dignità nasconde le apparenti contraddizioni e incoerenze al suo interno.
Ci fa credere che ogni obiettivo può essere raggiunto dall’inizio con la propria volontà e sufficiente impegno, che premia chi raggiunge l’obiettivo ed esclude chi non ci riesce. Un concetto può sembrare legittimo, ma solo se si decide di tralasciare il dettaglio irrilevante, la posizione iniziale dell’individuo in termini di risorse economiche e sociali.
Pertanto, il concetto di dignità è molto complesso, impossibile da semplificare o giusto/sbagliato. Essa, infatti, è circondata dal contesto sociale a cui apparteniamo, il che porta a infinite possibili analisi del vero significato della dignità oggi tra mille applicazioni e contraddizioni.

Mettere la parola accanto al ministero dell’Istruzione non è, a rigor di logica, una scelta casuale. Senza esprimere giudizi politici, è bene analizzare quale sia il rapporto tra istruzione pubblica e valore. Intesa come istituzione per la coltivazione dell’individuo in una prospettiva sociale, la scuola pubblica è un luogo di scoperta di sé attraverso il confronto che offre nuovi stimoli e relazioni. Ha la funzione di insegnare il valore del fare. Pertanto, la scuola dovrebbe essere un facilitatore di networking e scambio ai fini dello scambio e del confronto per facilitare la costruzione delle identità personali. Ma il credito mostra la visione individuale della società. Come coniugare quindi questi due aspetti?È necessario rivalutare il concetto di dignità attraverso nuove prospettive, sottolineando l’aspetto democratico che maggiormente caratterizza l’ambiente scolastico. Sono possibili modi alternativi per premiare l’impegno degli studenti, soluzioni sia individuali che, paradossalmente, di nicchia che svolgano un ruolo appropriato nel promuovere l’impegno della comunità? Un caso esemplare è il Liceo Morgagni di Roma, noto come il “liceo prezioso”: da un esperimento in aula, l’intero dipartimento ha adottato questo approccio. In dettaglio, gli studenti vengono sottoposti a quiz e test, ma non ricevono i tradizionali voti numerici dall’insegnante, il che li spinge a riflettere sul proprio lavoro e su come possono fare meglio in futuro. Rivalutare la dignità come cammino fedele, evitando la prossimità della meta finale, getta nuova luce sul termine, incoraggiando la scuola a diventare un luogo di sviluppo morale, dove le nuove generazioni possano ritrovare la consapevolezza del proprio agire. Quali azioni individuali possono diventare oggetto del pensiero della società, che nobilita e le restituisce valore?[m.p]

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