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Roberto Saviano. Ancora e ancora. Con insulti, comizi, bugie. L’ultima (in ordine cronologico): “Un governo libertario che perseguita i suoi critici. Primo ministro contro gli scrittori, come se fossero uguali in peso. Spaventatemi al terrore di chi critica l’operato di questo governo”. una bugia E non perché abbia trascinato Georgie Maloney in tribunale per così tanto tempo prima di diventare primo ministro. È più di una bugia, ora che è arrivato a Palazzo Chigi, il capo di Fdi sta pensando di ritirare la pretesa. E poi c’è un’altra bugia. Descritto come “democrazia” o democrazia liberale in Italia. Se fosse vissuto davvero nel regime, avrebbe chiuso la bocca da tempo. Ma no. Saviano parla. E strappalo spesso. Nessuno gli ha negato questo diritto: “Il diritto di parlare”. E non perché sia ​​uno “scrittore”, perché in Italia il “diritto di parola” è concesso a tutti i cittadini. Diverso è invece quello che sostengono (correttamente) gli autori di Gomorra. Perché non può accettare l’offesa e farla franca. Gli insulti (e “cattivo” è un insulto, davvero!) non rientrano nell’ambito della libertà di parola.

In un paese normale, un processo per diffamazione in cui una persona chiama bastarda un’altra in televisione non avrebbe molto interesse. In Italia, invece, attorno a Saviano si sta costruendo un circo mediatico, godibile solo sul lato sinistro delle sale. Davanti al tribunale di Roma, ieri mattina, i volti comuni che abbiamo trovato nei programmi di dialogo del dopocena sono stati il ​​papato contro il governo. C’erano diversi autori. Sandro Veronesi, Michaela Murgia, Nicola Lagioia, solo per citarne alcuni. Il prossimo è il direttore stampa Massimo Giannini. Anche l’attrice Kasia Smutniak. Tutto è lì per il supporto. O, più semplicemente, fare teatrini inutili contro la destra al potere. Coloro che non sono andati hanno salutato da casa. Come ama ripetere Eri De Luca: “Allora condivido la sua rabbia”. Scrive: Rabbia? Leggi: vergogna.

Murgia è in prima fila nel ripetere la (falsa) narrazione a cui Saviano tiene tanto: “Un uomo scortato dallo Stato per le sue parole sarà portato oggi davanti al giudice dal capo del governo: diciamo. In quale altra democrazia hai visto accadere questo». Una battaglia che combattono da settimane. Hanno atteso l’inizio del processo a dicembre con l’emozione dei bambini che aspettano il Natale. Ai primi di ottobre, prima che gli altri ecografi si piegassero, tu già scriveva sull’Espresso che chiamare Melony una “bastarda” era una specie di cultura. Ma, oggi tutti si sono divertiti. Su Repubblica, Chiara Valerio, invocando la salute della nostra democrazia, parla di “violenza di Stato” contro Saviano. Press , next Dicembre rivolgendosi a Elena Stancanelli (“Veniamo tutti a corte”), nel suo podcast sul Circo Massimo, la regista Giannini parla della “logica del potere” e produce i più classici “Cento colpi”.

Nessuno di loro ha il coraggio di scrivere tutto così com’è. E non era un “bastardo” che, come scriveva Stancanelli, veniva “giudicato discutibile” da Maloney. Questo è un insulto. E questo è tutto. È diffamatorio per coloro che lo ascoltano. Anche se nelle prossime ore il leader della Fratellanza italiana ritirerà la denuncia, resterà una calunnia. Quindi Saviano è senza una piattaforma per fare il suo inutile programma Rimasto.

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