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Ti innamoreresti mai di questo dottore?

Stefano Pagliarini

Pubblicato il 17 marzo 2023 alle 11:18

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Ma metteresti il ​​tuo cuore nelle mani di un cardiochirurgo che non l’ha mai operato? No, nemmeno io, ma questa è una domanda pericolosa che ci poniamo in un sistema sanitario pubblico devastato dalla povertà finanziaria e dal capitale umano. In effetti, quest’ultimo è un vero grande bubbone.

Certo, c’è una carenza di camici bianchi, e questo non è qualcosa da sottovalutare, ma sono sicuro che questa carenza sia solo una faccia della medaglia. Una causa più fondamentale va cercata altrove: nei corridoi delle cliniche didattiche e delle scuole di specializzazione. Dove dovrebbero insegnare i medici principali, i professori e gli specialisti medici, hanno rinunciato a formare nuove reclute, anzi vengono reclutati per coprire i posti vacanti nei dipartimenti. Invece di stare davanti a un tavolo e raccogliere cartelle cliniche e documenti, devono ripetere ogni giorno in sala operatoria le procedure di rimozione di un tumore e di sutura di una ferita.

Stiamo producendo una generazione di medici depressi e incompetenti

Rifiutarsi di istruire gli studenti laureati sta invecchiando Un’intera generazione di medici depressi e incompetenti. Questa è l’importanza della sanità italiana oggi, confermata dai dati e dalle dichiarazioni di Annao Assom, la più grande associazione di medici italiani, che denuncia un errore che riguarda il 70-80 per cento delle scuole.

È tutto dovuto alla mancanza di personale? NO. È sempre un alibi. È un problema di mentalità. Lo ha spiegato molto bene Guido Santini in un’intervistaIl 31enne aretino è diventato medico di base dopo essere uscito da una scuola di specializzazione in chirurgia toracica a Perugia: “Appena ti azzardi a criticare ti chiamano ‘quei ragazzi'”. Chi non vorrebbe farlo ma la verità è che ti senti un dottore. Quando lo fai, gli altri ti tratteranno sempre come un livello inferiore. Ci sarà sempre un ambiente in cui non ti permetterai mai di raggiungere questo obiettivo. Ho capito che non volevo quel tipo di vita e ho detto basta.

Guido non se ne andò per mancanza di personale, ma lui ei suoi colleghi furono schiacciati dal barone e dal vecchio modo di pensare, dalla mentalità vassalla dei giovani, il cui unico compito era inchinarsi a loro. Un padre che può solo dire: “Non preoccuparti, ci penserò io, lavorerò per te, non hai bisogno di studiare, prenditi cura e accontentati”. Una cultura che si riproduce come un virus. Prima passa attraverso le sue vittime e poi, una volta liberato, invece di cercare di cambiare le cose, è come la sindrome di Stoccolma. riproduce.

“Funziona sempre così”, sente spesso. Tuttavia, dietro la falsa facciata della gentilezza, questi esperti chirurghi feriscono i loro figli: diventano insicuri, dipendenti, senza autostima alimentati per puntare in alto e competere con i migliori.

Perché abbiamo sempre meno medici al pronto soccorso

A causa di questa mentalità, stiamo crescendo una generazione ansiosa che non potrà mai competere, incapace di affrontare le sfide future come le mamme di 40 anni che si mettono i calzini al mattino. Con professionisti di altri paesi europei, dove i giovani non sono un peso, ma un’opportunità di investimento. Uno si chiama “arrogante”. Sono i giovani di oggi, eh? Niente più religione. Ma non è arroganza: è ambizione, voglia di crescere, voglia di essere ogni giorno più efficaci. È il sale di una società sana e degna e coloro che non lo capiscono non sono adatti ai loro ruoli.

In effetti, il nostro sistema sanitario è sull’orlo del collasso. Questi padri fanno del male ai loro figli, ma fanno un grave torto a noi, che abbiamo il diritto di affidarci a cure mediche adeguate. Forse un giorno, ma nella sanità privata. Paghiamo di più per tutto per facilitare una corretta diagnosi. Pagheremo per il loro egoismo.


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