Populisti sì, ma di sinistra. Eredi degli indignados, in Europa hanno stretto un patto di ferro con Alexis Tsipras. Utilizzano la rete per decidere le proprie candidature, per i punti programmatici più controversi, per dare il nome alla grande manifestazione nazionale e per chi doveva parlare dal palco.

C’è tutto dentro Podemos, compreso il fattore leader, incarnato da Pablo Iglesias, detto “El coleta”, professore di Scienza Politica a Madrid e contesissimo ospite e conduttore di talk show. Il movimento nato un anno e mezzo fa si presentò alle scorse europee eleggendo a sorpresa cinque eurodeputati, con una campagna elettorale aggressiva contro la “casta”. Solo che in Spagna per casta intendono soprattutto quella finanziaria, il partito di Wall Street, quell’1 per cento più ricco e potente della popolazione che – era lo slogan – soffoca la vita del restante 99.

“Siamo il 99 per cento”, dicevano gli indignados. E oggi lo ripete Podemos.

Alle elezioni di maggio non avevano un simbolo di partito sulla scheda elettorale, piuttosto un volto: quello di Iglesias. Spregiudicati quindi, capaci di utilizzare le tecniche di marketing senza pensarci troppo, senza dibattito filosofico. La modernità è questa? E noi ci confrontiamo con quella.

In quella occasione, a sorpresa, Podemos conquista l’8 per cento, cinque eurodeputati, e però il giorno dopo Iglesias va in conferenza stampa con lo sguardo severo: “Abbiamo perso perché non abbiamo conquistato la maggioranza”. È il salto mentale, psicologico, per la sinistra radicale spagnola. Non conta più presidiare un’area, conta vincere, conta diventare maggioranza (e non entrare in una maggioranza). Non è un caso se tutto il gruppo dirigente di Podemos legge e studia Gramsci e il concetto di egemonia.

I mesi dopo il voto per Bruxelles sono quelli della sbornia da sondaggi. Podemos schizza in alto e diventa il primo partito, poi scende, ma la sostanza è che il bipartitismo è scardinato. Il movimento si trasforma in partito, un percorso durato due mesi a metà tra assemblee territoriali e votazioni sul web. Iglesias stravince il congresso e viene eletto “segretario generale”. Termine vecchissimo, ma le origini – nonostante il vezzo di non volere l’etichetta di sinistra – sono chiare a tutti: la chiusura dell’assemblea madrilena di novembre è “L’Estaca”, canzone storico contro il franchismo.

Ma non è tutto rose e fiori dentro Podemos. Come l’addio di pochi giorni fa di Carlos Monedero, quello che era un po’ il contraltare di Iglesias, professore universitario pure lui e difensore di un modello più classicamente di sinistra del partito e del suo programma. Come l’avanzata a destra di una sorta di Podemos liberista, cioè Ciudadanos, che ha rubato un bel po’ di consenso conservatore.

Ora però con la vittoria a Madrid e Barcellona Podemos riprende vigore, l’immagine vincente si rinforza e la base elettorale, probabilmente, si allargherà. A novembre ci sono le elezioni politiche e Iglesias sarà il candidato premier. Con un occhio a quel che avviene ad Atene: se Tsiprss riuscirà a salvare la Grecia, dimostrerà che governare da sinistra in Europa è possibile. E Podemos ne coglierà i frutti.